Lo sai che a Roma esistono le Statue Parlanti? Scopriamo insieme segreti e curiosità che pochi al mondo conoscono!

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Ciò che non hanno fatto i barbari, lo hanno fatto i Barberini.

Pasquino

Per i romani, Roma non è semplicemente una città: è molto di più. La Caput Mundi, universalmente riconosciuta tale, è un mix di pura anima ed emozioni genuine e veraci. È un luogo dove la storia ufficiale si intreccia alle vicende e alle vite della gente comune.

I romani sono persone che difficilmente sanno tacere in un dialogo. Ovunque siano, in un bar, al mercato, sul bus o in piazza, hanno sempre qualcosa di cui lamentarsi, gesticolando in modo teatrale e con toni, non di rado, plateali. Guai a toglier loro l’ultima parola! Indubbiamente, poi, se c’è qualcosa che caratterizza i romani è quel pizzico di ironia che non guasta mai. Questo è lo spirito con cui sono nate, più di 500 anni fa, le famose Statue Parlanti. Vediamo insieme le 10 principali curiosità legate a questi singolari monumenti. Pronti?

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10. Le Statue Parlanti: la Voce dell’Irriverenza

La Roma dei Papi

La nascita delle Statue Parlanti coincide in maniera quasi esatta e scientifica con la Roma dei Papi del Cinquecento. I pontefici divennero, al contempo, detentori del potere temporale e di quello spirituale. Questo cosiddetto ruolo di Papa Re era oggetto di aspre critiche da parte dei Romani. Qual era il veicolo attraverso il quale tale forma di dissenso fu possibile? Le Statue Parlanti, naturalmente. Grazie a questi singolari monumenti, era possibile criticare e ridicolizzare l’operato dei papi con dei cartelli satirici apposti, di notte, in forma del tutto anonima. Al mattino seguente, la popolazione poteva apprendere il contenuto della protesta. Le composizioni in versi non sempre erano espresse in tono polemico e pungente, bensì anche sotto forma di poesie o dialoghi non privi di umorismo. Certo è che, nella quasi totalità dei casi, il destinatario era il papa del momento.

I responsabili di tali azioni, chiaramente, dovevano rimanere ignoti onde evitare non pochi problemi con la giustizia. All’epoca la libertà di pensiero non esisteva, ma la voce del popolo romano era più forte di qualsiasi autorità. È proprio così che nacquero le Statue Parlanti che, nella “solida pietra”, incarnavano l’ostilità verso i nobili prepotenti e il clero corrotto. Avvolte dal buio della notte, le statue “parlavano” e non risparmiavano proprio nessuno. Le 6 Statue Parlanti sono tutte dislocate nel centro storico di Roma. Esse sono note anche come Congrega o Circolo degli Arguti, simbolo della romanità più verace ed irreverente che non china la testa davanti ai soprusi e alle ingiustizie. Vediamole una per una.

9. Pasquino, la prima Statua Parlante

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La statua di Pasquino si trova nell’omonima Piazza, all’angolo di Palazzo Braschi (un tempo denominato Orsini). È praticamente dietro Piazza Navona, nello storico Rione Parione. Il suo rinvenimento risalirebbe al 1501 circa, quando il cardinale Oliviero Carafa si trasferì a palazzo Orsini e ne ordinò la ristrutturazione al Bramante. Nell’ambito dei lavori, venne portato alla luce un torso in marmo non ben identificato privo di braccia e gambe, senza il naso e con le occhiaie piuttosto scavate. Numerose furono le dispute createsi circa la reale identità della scultura.

Con ogni probabilità si tratterebbe di un frammento del gruppo scultoreo di epoca romana (databile circa IV secolo a.C.- II secolo a.C.) “Menelao che sorregge il corpo di Patroclo morente”. Presumibilmente, si trattava di parte delle decorazioni dello Stadio di Domiziano (oggi piazza Navona). Il Cardinale fece collocare la statua dov’è attualmente, su un piedistallo in travertino. Inoltre, volle conservare il ricordo del suo ritrovamento con un’epigrafe: «Qui fui posto a cura di Oliviero Carafa nell'anno del Signore 1501».

Molte ipotesi circolano anche intorno al nome attribuito alla statua. Secondo alcuni, per la presenza della vicina osteria Pasquino nelle immediate vicinanze; secondo altri, era associato ad un brillante barbiere omonimo, la cui bottega sorgeva in Parione. In ultimo, per la somiglianza con il letterato di un vicino ginnasio deriso dai propri allievi. Non meno verosimile, il plausibile collegamento con Pasquino il sarto, le cui parole contro il papa erano più taglienti delle sue forbici.

Qualunque sia la vera origine del nome, andiamo al punto. A partire dalla festa del 25 aprile del 1501, il cardinal Carafa aveva dato vita ad una competizione letteraria. Le poesie venivano affisse proprio alla statua mascherata e adornata con drappi. Da qui, scaturì la moda dei sonetti satirici di polemica contro il papa.  Fu, però,  il drammatico sacco di Roma del 1527 a sancire definitivamente il ruolo di Pasquino quale interprete del malcontento popolare.

Le guardie del papa non riuscirono mai a scovare chi, ogni notte, affiggeva i propri messaggi per denunciare il malgoverno. Pasquino era il simbolo della libertà romana. Naturalmente, la Chiesa non poteva tollerare questa situazione e tentò in ogni modo di impedire la circolazione di queste idee. Adriano VI pensò di gettare la statua nel Tevere, mentre Benedetto XIII emanò un editto condannando a morte i responsabili. Tuttavia, Pasquino continuava a parlare e, nel frattempo, non era più solo

8. Marforio, la spalla di Pasquino

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A fare compagnia a Pasquino, c’era Marforio. Questa enorme statua barbuta ha cambiato diverse volte la sua collocazione nel corso della storia. Oggi, la si può ammirare salendo la scalinata del Campidoglio e accedendo al cortile di Palazzo Nuovo. È praticamente addossata ad una parete confinante con la contigua Basilica di Santa Maria in Aracoeli. Il nome Marforio deriva da Martis Forum in quanto venne recuperata proprio nei pressi del tempio di Marte nel Foro nel XVI secolo. L’imponente statua raffigura una divinità maschile distesa su un fianco sul bordo di una vasca, con un lungo mantello ed una conchiglia nella mano sinistra. Potrebbe essere una personificazione del Tevere o del Dio Nettuno e sembrerebbe risalire al I secolo d.C.

Qui ciò che conta è il “rapporto” con Pasquino, con il quale dialogava in un pungente e singolare botta e risposta, tanto da esserne definito spalla. Sottili e sagaci le loro “chiacchierate a distanza”. Durante il pontificato di Clemente XI, il papa era parecchio interessato alla sua città natale, Urbino. Sia Pasquino che Marforio, ebbero qualcosa da dire.

Marforio:«Dimmi: che fai Pasquino?».   

Pasquino: «Eh, guardo Roma, chè non vada a Urbino».

Un’altra celebre satira ebbe come bersaglio la sorella di papa Sisto V che, nonostante le sue umili origini contadine, si atteggiava a nobile e snob. Marforio, dunque, chiese a Pasquino: «Ahimé Pasquino, perché sei così sporco? Hai la camicia nera come quella di un carbonaro». Egli replicò: «Che vuoi farci? La mia lavandaia è stata fatta principessa!».

7. Il Babuino, il rivale di Pasquino

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Addossata a palazzo Grandi, si trova la statua denominata del Babuino. Ci troviamo nei pressi della Chiesa di Sant’Atanasio dei Greci, tra Piazza di Spagna e Piazza del Popolo. La statua, parte della decorazione del palazzo menzionato poc’anzi, probabilmente rappresenta un sileno, una divinità a metà tra uomo e satiro. Il nome Babuino deriva dal suo aspetto poco aggraziato e grottesco, per certi versi, assimilabile ad una scimmia: il babbuino. Il sileno giacente sovrastava la vasca di una fontana costruita per volere del nobile Alessandro Grandi.

Anticamente la via dove era situata era denominata diversamente, ma le sue fattezze hanno stimolato la fantasia dei romani. Dunque, da via Paolina, da allora diventò via del Babuino. Le sue famose satire, ribattezzate babuinate, entrarono in competizione con quelle di Pasquino proprio per marcare la sua rilevanza rispetto al “rivale” della vicina piazza Navona. Le proteste si manifestarono anche con dei graffiti che andarono, via via, ricoprendo la parete alle sue spalle. A seguito di un’importante opera di restauro, vennero cancellati e, attualmente, non ne rimane traccia.

6. L'Abate Luigi, la Statua acefala

Dopo numerosi trasferimenti, la statua dell’Abate Luigi si trova oggi in piazza Vidoni, accanto alla Chiesa di Sant’Andrea della Valle (tra Piazza Navona e Largo Argentina). È una statua romana in marmo di epoca tardo imperiale che ritrae un uomo togato, forse un magistrato o un oratore, con un rotolo in mano. Sembra che il suo nome derivi dall’acuto sagrestano della vicina Chiesa della Madonna del Santissimo Sudario. L’iscrizione alla base del suo del piedistallo è una cronaca delle sue Pasquinate: «Fui dell’Antica Roma un cittadino | Ora Abate Luigi ognun mi chiama | Conquistai con Marforio e con Pasquino | Nelle satire urbane eterna fama | Ebbi offese, disgrazie e sepoltura | Ma qui vita novella e alfin sicura».

L’Abate Luigi parlò per l’ultima volta nel 1966: quando un atto vandalico lo privò della testa. Tuttavia, grazie ad un’opera di restauro, il tronco fu dotato nuovamente della testa nel 2009.

«O tu che m’arubbasti la capoccia

vedi d’ariportalla immantinente

sinnò, vòi véde? come fusse gnente

me manneno ar Governo. E ciò me scoccia».

5. Madama Lucrezia, rappresentante femminile delle Statue Parlanti

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Unica donna tra le Statue Parlanti, Madama Lucrezia si trova esattamente all’angolo tra palazzo Venezia e la Basilica di San Marco, a due passi da Piazza Venezia. L’imponente mezzo busto marmoreo, alto circa 3 metri e con il volto sfigurato, rappresenta probabilmente la dea Iside o una sua sacerdotessa. Anche in questo caso, fu il popolo a darle il soprannome. Secondo alcuni si tratterebbe di una tale Lucrezia, moglie di Giacomo dei Piccini da Bologna, che possedeva delle proprietà nella piazza, come attesta un documento del 1536.

Stando ad altre fonti, sarebbe stata Lucrezia d’Alagno la bella amante del re di Napoli, Alfonso V d’Aragona, nonché favorita di papa Paolo III. La nobildonna trascorse gli ultimi anni della sua vita a Roma, proprio nelle immediate vicinanze di Palazzo Venezia, in piazza San Marco. Tra le frasi “pronunciate” dalla statua stessa tra il 1600 ed il 1800, ricordiamo quella del 1799. Durante la Repubblica Romana, il popolo in rivolta ne provocò la caduta dal piedistallo. Madama Lucrezia era a faccia in giù e con lo sguardo rivolto verso il basso. Il giorno successivo, sul suo dorso, comparve la scritta che ne motivava la posizione: «Non ne posso veder più».

4. Il Facchino, la più giovane delle Statue Parlanti

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Originariamente, la statua del Facchino era collocata sulla facciata principale di palazzo de Carolis, attualmente conosciuto con il nome di palazzo del Banco di Roma, in Via del Corso. Nel 1874, venne trasferita proprio dietro l’angolo, nella vicina via Lata. Ancora oggi, si trova qui, a un tiro di schioppo dalla maestosa Piazza Venezia. È la più giovane delle Statue Parlanti, realizzata probabilmente nella seconda metà del XVI secolo. Fra tutte e sei, è la scultura più bella, tanto che alcuni la attribuirono a Michelangelo. Secondo altri, sarebbe opera di un suo allievo.

La scultura raffigura un acquarolo, cioè colui che anticamente vendeva l’acqua delle fontane pubbliche portandola nelle case. Una professione molto in voga nella Roma antica. Il termine facchino le deriva dall’abito simile a quella della categoria dei facchini, ma la botte da cui versa l’acqua non lascia spazio a dubbi. Il suo volto risulta deturpato poiché si dice che, somigliando a Martin Lutero, i bambini si divertissero a colpirlo con dei sassi.  

3. Tre delle Statue sono Fontane

La statua del Facchino, l’acquaiolo che sostiene il barile da cui versa l’acqua, è inserita in una piccola fontana. Venne realizzata in marmo chiaro nel 1580, durante il pontificato di Gregorio XIII. Probabilmente venne commissionata della Corporazione degli Acquaroli. Essa è alimentata dall’Acquedotto dell’Acqua Vergine.

Più monumentale e appariscente è la grande fontana che ingloba la statua di Marforio. La statua colossale della divinità fluviale è posta nella nicchia centrale incastonata sul muro di fondo dell’edificio. Tre grandi colonne in granito grigio, con un fregio a rilievo di sacerdoti egizi, prevengono dal vicino santuario di Iside e Serapide in Campo Marzio.

La fontana del Babuino venne costruita da un privato ma destinata all’uso pubblico. Essa constava di una vasca di epoca romana realizzata in granito grigio da cui l’acqua sgorgava mediante una semplice cannella. Su di essa, veglia la statua del Babuino disteso su una scogliera.

2. Cosa si intende per Pasquinate?

Come si può facilmente intuire, l'espressione Pasquinate trae origine dalla Statua Parlante più famosa di Roma, nonché la prima, ovvero Pasquino. Per estensione, il termine venne associato dunque ad ogni espressione anonima di protesta per mezzo di bigliettini apposti sulle statue. Tali messaggi venivano affissi nel cuore della notte per poi essere visibili all'intera cittadinanza il giorno seguente.

Si tratta di componimenti satirici di varia lunghezza, ma generalmente brevi e concisi, scritti sia in versi che in prosa. Generalmente, erano indirizzate ai papi, alla Curia o contro chiunque meritasse il biasimo per via del cattivo operato o di azioni amorali. Le prime comparvero in latino, successivamente in italiano volgare e, infine, in dialetto romanesco. Pasquino, pertanto, si è convertito nel simbolo della satira politica del popolo in un tono irriverente, mordace e pungente.

1. Le Pasquinate più famose della Storia

Le Pasquinate

Tra le più celebri Pasquinate, senza dubbio, la prima in ordine cronologico è quella risalente al 13 agosto 1501. Riferendosi al toro presente nello stemma papale, Pasquino si rivolse diretto ad ad Alessandro VI Borgia: «Preedixi tibi papa bos quod esses». Qui, sono possibili tre traduzioni dal latino:

- Predissi che saresti stato un papa bue

- Predissi, o bue, che saresti stato papa

- Ti predissi, o papa, che saresti stato un bue.

Giocando sulla posizione della virgola, si allude ad un'immagine del pontefice, poco gradito agli occhi dei Romani. Nessuna delle tre possibili traduzioni offre una buona opinione sul papa.

Per l'elezione di Paolo V Borghese, il  16 maggio 1605 , il commento di Pasquino fu il seguente: «Dopo i Carafa, i Medici, i Farnese, or si deve arricchir casa Borghese». Critica piuttosto aperta e palese nei confronti dello sfarzo di cui si contornavano i papi e le loro rispettive famiglie di appartenenza.

Altro pontificato ferocemente attaccato fu quello di Urbano VII Barberini. A seguito del giubileo del 1625, per far fronte agli insostenibili sforzi bellici, il papa impose pesanti tasse che gli valsero il soprannome di papa Gabella. Pasquino non seppe trattenersi nemmeno questa volta: «Urbano VIII dalla barba bella dopo il giubileo impone la gabella».

Lo stesso Urbano VII, poi, "prelevò" delle travature bronzee del pronao del Pantheon che sarebbero state poi fuse per realizzare il baldacchino di San Pietro e i cannoni di Castel Sant'Angelo.  Ancora una volta, non si fece attendere la sentenza della Statua Parlante: «Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini». Non si trattava solamente della deturpazione di un'opera d'arte di inestimabile valore. Qui si intendeva, piuttosto, che gli scempi compiuti dai Barberini causarono danni maggiori di un'invasione barbarica. 

La serie di Pasquinate è a dir poco interminabile: per cui ci fermiamo qui.  Sappiate, però, che nel corso della storia nessuno è sfuggito al severo ed implacabile giudizio delle statue parlanti, la vera vox populi!

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